… i duri accendono il forno. O friggono.
Ok, ce la posso fare. Non a friggere.
A tenere in piedi tutto sto “ambaradan” di blog,
intendo.
Nonostante il pc che si è ammutinato decidendo di
mettersi in malattia prima e in
convalescenza adesso.
Nonostante il caldo che mi fa venir voglia solo di
stare in ammollo al mare o stesa sotto un albero a leggere in montagna.
Non che mi lamenti, sia chiaro. È estate e deve fare
caldo. Scherziamo? Non vogliamo mica un’altra estate uggiosa (e non ho detto di
m… perché sono una signora) come quella dell’anno scorso? No, no, va benissimo
così.
Solo che la voglia di starmene in casa a smanettare
sul pc è poca, pochissima.
Soprattutto se si deve lottare con una connessione ballerina
e un pc che va a pedali.
La voglia di "spignattare" invece non manca mai.
Nemmeno, e soprattutto, quella di mangiare.
“Oggi ho troppo
caldo, non ho neanche appetito. Pranzerò giusto con un frutto!!”
Ma quando mai? Questo per me è un concetto
inconcepibile. Inaudito.
Quindi si cucina sempre e comunque. Anche se si deve
accendere il forno. Anche se si deve friggere nella lava. Cucinare col caldo
non mi spaventa, non più di tanto comunque.
Dopo mangiato però ho solo voglia di starmene
tranquilla a leggere un buon libro.
Magari uno che mi faccia sognare di posti lontani ed
esotici. Come l’Africa.
Storie che parlano di Africa ne ho lette molte.
Il libro più famoso è naturalmente “LA MIA AFRICA” di Karen Blixen, che ho
amato alla follia. L’ho letto non so più quante volte e ho anche visto il film
con Robert Redford e Meryl Streep. Bellissimo, ma ovviamente ho preferito il
libro.
Penso lo conoscano anche i sassi: è la storia
autobiografica dell’autrice che si trasferì in Kenya, presso Nairobi, col
marito. Rimane li diversi anni, anche dopo il divorzio, cercando di mandare
avanti da sola la sua piantagione di caffè ai piedi degli altipiani del Ngong, vivendo
gomito a gomito e in perfetta armonia con le popolazioni indigene, cavalcando e
accampandosi nella foresta, esplorando zone selvagge, a contatto con animali
selvatici (nel 1930 non ieri!).
Regalandoci così un ritratto bello e intenso del
Kenya, della sua natura, dei sui colori e dei suoi abitanti. I coloni bianchi,
i Masai, i Kikuyu ma naturalmente anche gli animali.
“Il tratto più
caratteristico del paesaggio, e della vita lassù, era l’aria. Si ha la
sensazione sconcertante di essere vissuti nell’aria. Il cielo … aveva in se un
tale vigore d’azzurro da colorare anche i boschi, e le colline accanto, di una
tinta fresca e profonda.”
“Gli
uomini civilizzati non sanno più cos’è la vera calma e devono prendere lezioni
dal mondo selvaggio, prima che quel mondo li accetti.”
“Quando
si riesce a cogliere il ritmo dell’Africa, ci si accorge che è identico in
tutta la sua musica.”
Per rappresentare degnamente questo libro e i luoghi
che lo hanno originato ho cercato qualche ricetta tipica keniota. Ne ho trovate
molte, perché il Kenya ha una cucina varia e saporitissima. È il frutto della mescolanza
di diverse tradizioni: inglese, araba , indiana e naturalmente indigena.
Vengono usate molte spezie ma in maniera non
eccessiva. Sulla costa viene consumato dell’ottimo pesce, molluschi e
crostacei. Mentre nell’entroterra è più comune la carne, in particolare capra,
agnello e pollo, sotto forma di stufati ricchi di verdure e legumi o più
semplicemente grigliata.
Le bevande tradizionali sono il caffè, che viene
coltivato nella zona degli altipiani, il te sempre accompagnato da latte e
spezie e il vino di palma o papaya. Poi naturalmente c’è il latte di cocco,
molto usato anche per cucinare.
Tra tutte queste ricette ne ho scelto una facile e gustosa,
adatta per una merenda, magari all’aperto, per la colazione o semplicemente
come dessert.
Sono i MANDAZI,
piccole focaccine dolci e leggermente speziate, fritte in abbondante olio di
semi e servite ben calde, soffici e dorate. In pratica sono una sorta di
bomboloni africani. Sono lo street food tipico di tutta la costa Swahili e dei
Grandi Laghi Africani, venduti per le strade in piccole bancarelle. Sono
chiamati infatti anche Swahili buns
o Swahili Donut. Se vengono fatti
con il latte di cocco si dicono Mahamri
o Mamri.
Esistono infatti diverse versioni a seconda delle
zone, con differenze nella presenza o meno di alcuni ingredienti. Come capita
spesso nelle ricette di origine popolare.
Con questa ricetta partecipo alla tappa keniota dell’ ABC culinario mondiale ospitata da Valentina. E come sempre arrivo appena
in tempo per chiudere al carovana che già da domani si sposterà in un altro
posto sul pianeta.
Mandazi
– Swahili buns (foccaccine dolci keniote)
Ingredienti:
1 uovo medio,
100g di zucchero semolato,
250g farina 0,
120g acqua o latte tiepidi (o un misto dei due),
20g burro fuso tiepido,
1 cucchiaino di lievito di birra secco,
zenzero, cannella, noce moscata, coriandolo in polvere
(un pizzico di ognuna),
olio per friggere.
Mescolate la farina col lievito, lo zucchero e le
spezie. Formate la fontana e mettete al centro l’uovo sbattuto e il burro,
iniziate ad impastare con la forchetta incorporando la farina e aggiungendo il
latte o l’acqua.
Lavorate con le mani fino ad ottenere un impasto
omogeneo, morbido ma non appiccicoso. Se occorre unite altra farina, ma non
troppa.
Lasciate lievitare fino al raddoppio del volume, in un
luogo fresco e asciutto, coperto con un canovaccio.
Spianate l’impasto a circa 1cm e ritagliate dei
triangoli o dei cerchi con un bicchiere, fateli riposare ancora una mezz’oretta-
un’ora poi friggeteli in abbondante olio caldo ma non bollente.
L’olio non deve essere troppo caldo per non farli
cuocere troppo in fretta in superficie e lasciarli crudi e gommosi all’interno.
Girateli appena sono ben dorati da una parte.
Scolateli su carta assorbente e serviteli caldi, anche
spolverati di zucchero semolato.
NOTE:
-
Potete impastare il giorno prima e mettere l’impasto
in frigo, chiuso in un contenitore ermetico capiente. La lievitazione sarà
rallentata. Il giorno dopo si prende l’impasto, lo si lavora brevemente per
sgonfiarlo e lo si lascia lievitare a temperatura ambiente per circa 2 ore, si
spiana, si taglia a triangoli e si procede come da ricetta.
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In alcune ricette viene usato il lievito per dolci,
che è istantaneo, quindi non serve lasciarli riposare troppo a lungo. Consiglio
comunque un breve riposo di mezzora una volta tagliati i triangoli, friggono
meglio.
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La quantità di spezie va a gusto, se vi piace potete
metterne un po’ di più. In alcune ricette viene usato anche il pimento o pepe
garofanato (in inglese allspice ).
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Possono essere impastati anche con latte di cocco,
invece di latte o acqua, in questo caso si chiamano mahamri.
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Ho trovato anche una ricetta in cui si aggiungeva del
cocco disidratato e grattugiato all’impasto e eventualmente spolverato anche
sopra dopo la cottura. Non so se sia un’ idea dell’autrice della ricetta, o fa
parte delle possibili varianti tradizionali della ricetta, io comunque la trovo
molto interessante visto che adoro il cocco, la prossima volta la proverò senz'altro.
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In caso di intolleranza al lattosio, oltre a usare il
latte di cocco o l’acqua per impastare, si può sostituire il burro con
dell’olio extravergine d’oliva o olio di arachidi (2-3 cucchiai di olio
dovrebbero bastare). Volendo si può omettere anche l’uovo.
PS: gli abitanti del Kenya si chiamano kenioti o keniani?
Secondo
l’enciclopedia Treccani la versione tradizionale sarebbe kenioti, ma ora sono
anche spesso indicati come keniani. Quindi vanno bene entrambe le diciture.
Giusto
per togliermi un sassolino dalla scarpa. Abbiate pazienza.
Anche a me il caldo non spaventa e ne ho le prove perché un giorno si e l'altro no accendo il forno :-P
RispondiEliminaBellissimo libro ed ho anche visto il fim..non potevi scegliere ricetta migliore..e altamente golosa :-P