E
dico ligure e non genovese, non per caso, ma per puntiglio.
Anzi,
dovrei proprio dire alla savonese.
Perché
la provincia di Savona esiste, è viva e lotta insieme a noi.
Non
c’è una landa desolata tra Genova e Sanremo, ci sono paesi, cittadine, spesso
con millenni di storia alle spalle, dialetti e tradizioni ben definite.
Anche
la cucina ligure di ponente esiste, forse dovrei dire di centro così si capisce
cosa intendo.
Perché
nel resto d’Italia, quando si parla di Liguria, in televisione, nei
documentari, si pensa quasi sempre in primis al Tigullio, alle Cinque Terre,
ovviamente Portofino, con qualche sforzo si arriva fino a Genova e poi si salta
di botto fino a Sanremo, ma solo nel periodo del Festival. O se la giunta
comunale combina qualche casino. Poi basta.
In
mezzo sembra non esserci niente. Un buco nero, un deserto lungo 150Km. Una
Terra di Mezzo aspra e selvaggia.
Invece
la via Aurelia prosegue per tutta la costa e attraversa questa provincia così
bella che non ha nulla da invidiare ad altre zone più conosciute.
La
vista spazia su panorami stupendi, tra scogliere ripide si nascondono piccole
spiaggette di ciottoli, alternandosi a lidi più ampi e sabbiosi. Perché a
partire da Varazze il territorio inizia ad addolcirsi un po’, anche i piccoli
borghi dell’entroterra sono più a ridosso del mare, quasi a volerlo sempre
tenere sott'occhio, a far capolino tra viti, olivi e piante di chinotto.
Se
il terreno si addolcisce, il carattere degli abitanti al contrario sembra
chiudersi un po’ di più. Mentre i genovesi, esperti commercianti, sono più
aperti e loquaci, per quanto possano esserlo i liguri, i savonesi sono un po’
più diffidenti, per usare una parola locale, sono “stundäi”, che purtroppo non
ha un vero corrispettivo nella lingua italiana, forse burbero, ma non rende.
Stundäio è una persona un po’ scostante, diffidente e brontolona, ma se il
mugugno a Genova è libero, a Savona è un moto dell’animo. Noi siamo mugugnoni
dentro. Pessimismo e fastidio.
Salvo
poi uscire con qualche battuta ironica mai lasciata al caso, poche parole ma
dirette, mai troppe, mai troppo poche. Più un motteggio scherzoso, un commento
buttato là, una battuta lieve, a volte
anche meno, una significativa alzata di sopracciglio, un sorrisetto o una
scrollata di spalle.
Perché
i savonesi più che commercianti e navigatori, sono sostanzialmente pescatori e
contadini, quindi abituati al silenzio, a non sprecare tempo in chiacchiere, ma
dotati di una forte ironia e senso della battuta. Tendenzialmente vogliamo
rimanercene tranquilli nel nostro “recantu”, cantuccio (come gli hobbit, in
effetti, ma più alti e meno pelosi).
Forse
è per questo che le nostre tradizioni, i nostri dialetti e anche la cucina non
sono tanto conosciuti o comunque messi in ombra dalla Superba. Ci vuol tutta
che li conosciamo e accettiamo tra comuni limitrofi. Veramente si riesce a
litigare persino tra borgate dello stesso comune.
La
cucina del savonese, pur avendo propri piatti tipici, è abbastanza simile a
quella del resto della regione e quindi a quella genovese. Quasi, con qualche
piccola differenza: una stessa ricetta po’ subire moltissime varianti man mano
che ci si sposta da levante a ponente.
Eppure
son sempre piatti della tradizione.
Non
è che le massaie savonesi, o finalesi, o feglinesi si sbagliavano,
semplicemente usavano quello che gli forniva il territorio. Magari meno spezie,
perché meno reperibili e più erbe aromatiche. Più verdura, visto che il terreno
meno aspro consentiva di coltivare più facilmente e meno carne. Per esempio,
anche noi facciamo la cima ma il ripieno è un po’ più verde, però è sempre cima
ligure, savonese, finalese o feglinese, ma sempre ligure.
Lo
so che probabilmente non ho scelto un buon momento per un moto di orgoglio
ponentino (o mediano) visto che si tratta di una sfida dell’MTChallenge che è nata a Genova,
soprattutto visto che i giudici a sto giro sono tutti genovesi, una è anche
genoana, ma pazienza.
Il
tema della gara è stato scelto da Monicae Luca, i vincitori del mese scorso, appena l’ho letto mi son sentita
chiamata dalla causa, non potevo tirarmi indietro di fronte a una ricetta che è
nel mio DNA, però ho pensato anche che fosse un po’ ora di far sapere quanto la
cucina ligure non si possa solo identificare con una parte del territorio,
sebbene quella parte ci rappresenti molto bene. Scusate ma non ho resistito, ho
dovuto rispolverare il vessillo della Terra di Mezzo. Rischierò la scomunica.
L’argomento
della sfida sono infatti i ravioli, “iraieu co-u tuccu”, per la precisione. Cioè ravioli conditi con un sugo di
carne e pomodoro ma un po’ particolare: “u Tuccu”, cioè il pezzo è riferito alla
carne che viene cotta molto lentamente con odori, vino e pomodoro regalando
sapore al sugo ma rimanendo nel contempo morbida e succulenta. Merito della
lunga cottura a bassa temperatura, che adesso è tanto di moda ma non è certo
una novità, e del taglio di carne giusto. Quindi alla fine la gara è anche su questo.
Con
questa parola viene spesso indicato anche solo il sugo con cui vengono conditi
i ravioli, mentre la carne potrebbe finire nel ripieno.
Potrebbe
perché non è sempre così, da noi spesso viene mangiata a parte e col sugo si
condiscono semplicemente i ravioli.
I
nostri ravioli sono un po’ più verdi: di bietole o erbette miste, erbe aromatiche
a manciate. La carne, poca, quando c’è e se c’è, non è quella del sugo che è
cotta nel pomodoro, ma è un avanzo di arrosto o bollito, spesso viene cotta
appositamente.
Oppure
si può mettere un po’ di mortadella tritata o raramente prosciutto cotto.
Nell'entroterra di Savona, verso la Val Bormida, invece si mettono anche midollo e animelle nel
ripieno insieme alla carne. Comunque non deve mai prevalere sulle verdure.
La
quantità della carne può diminuire fino a scomparire del tutto, diventano così
ravioli di magro, che non sono i pansotti genovesi in quanto non hanno ricotta
ne cagliata.
Questi
sono i ravioli come ho imparato a conoscerli io, quelli che ogni festa comandata
arrivano in tavola, preparati dalla mamma o dalla zia, dalle nonne e dalla mia
prozia prima di loro, ancora prima dalle bisnonne.
Quelli che ho imparato a
fare sin da bambina, in piedi su una sedia, nella “cucinetta”, dove c’era una
grossa madia di legno per impastare e un tavolone dove le sfoglie venivano
farcite, piegate e tagliate in un lavoro comune che coinvolgeva tutte le donne
di famiglia. Una catena di montaggio con tanto di gerarchia: le più piccole
sistemavano i ravioli nei vassoi, poi man mano si poteva tagliarli, tirare la
sfoglia, mettere il ripieno e così via.
Io ero un tantinello impaziente, un
filino impulsiva e intraprendente, diciamo che volevo saltare le tappe. Infatti
la mia prozia Teresa, la vera depositaria del titolo di prima cuciniera, la
chef di brigata, tentava ogni volta di mandarmi a giocare da qualche parte,
mugugnando che le facevo perdere tempo. Poi però ridacchiava tra sé, contenta
di quella nipote curiosa e un po’ casinista. In quelle giornate c’era sempre la
merenda dei ravioli: zia, o nonna, preparavano qualche raviolo
sovradimensionato e li mettevano a cuocere direttamente sul piano della stufa a
legna, venivano delle focaccette croccanti e abbrustolite con un morbido ripieno,
che io e mia cugina ci litigavamo.
Il
“toccu” ultimamente è stato un po’ soppiantato dal ragù. Ho cercato di
recuperare una ricetta di famiglia, sostanzialmente è simile a quello proposto
dal Monica e Luca, solo che non ci sono i funghi e il midollo, mentre compaiono
molte più erbe aromatiche.
Se
volete vedere i ravioli di Monica e Luca,
quelli alla genovese con il loro sugo andate nel loro blog: Fotocibiamo.
RAVIOLI DI ERBETTE.
(Per
circa 2,5 Kg di ravioli)
Per il
ripieno:
1,5
kg di bietole, erbette (spinaci, borragine), scarola*,
1
cipolla,
1
piccola gamba di sedano (quelle al cuore che son più tenere)
1
carota piccola,
una
manciata di foglie di prezzemolo,
4
rametti di maggiorana fresca,
qualche
fogliolina di salvia fresca (quelle in cima che sono più tenere e giovani),
250g
mortadella o carne arrosto,
100g
parmigiano,
3
uova grandi,
pangrattato,
olio
e.v.o,
sale,
pepe, noce moscata.
*le
bietole di solito la fanno da padrone, le altre erbette sono variabili a
seconda del gusto e della reperibilità. Da cotte si riducono a poco più della
metà.
Lavare
molto bene le bietole e le erbette. Si può procedere in due modi: si possono
cuocere le verdure in acqua bollente non salata per 2-3 di minuti, si scolano,
si strizzano bene e si tritano finemente. Oppure si tagliano a listarelle
sottili da crude e si mettono ad appassire in una padella antiaderente col
coperchio senza nient’altro per un paio di minuti, appassiranno nel loro
liquido di vegetazione mantenendo un bel colore brillante.
Tritate
sedano, carota, cipolla e le erbe aromatiche molto finemente. Fateli appassire
dolcemente con due cucchiai di olio d’oliva in una padella per almeno 10
minuti, mescolate di tanto in tanto, non devono rosolarsi, solo stufare e
asciugarsi.
Fuori
dal fuoco unite la mortadella tritata. Fate raffreddare e tritate finemente il
ripieno, potete anche passarlo al mixer. Unite le uova, il parmigiano
grattugiato, noce moscata a gusto e aggiustate di sale.
Il
ripieno deve essere asciutto e sodo, se fosse troppo molle unite uno o due
cucchiai di pangrattato.
Il
ripieno si può preparare anche il giorno prima e conservare in frigo ben
sigillato con la pellicola, anzi è molto più buono. In questo caso mamma, zie e
nonne però aggiungevano le uova solo all’ultimo, perché fossero ben fresche e
non si alterassero. Scientificamente non so se sia valido questo criterio ma io
ho imparato così e continuo a far così.
Per la
pasta:
1kg
di farina per pasta fresca,
5
uova,
sale,
acqua fredda.
Fate
una fontana con la farina setacciata, rompete al centro le uova, unite una
bella presa di sale e iniziate a impastare battendo prima le uova al centro con
una forchetta, poi unite pian piano la farina, aggiungendo poca acqua alla
volta.
Impastate
velocemente e con energia fino ad ottenere un impasto morbido, liscio ed
omogeneo. Tenete sempre la pasta coperta con un foglio di pellicola e uno
strofinaccio in modo che non si asciughi.
Preparate i
ravioli:
Tirate
la sfoglia non troppo sottile. Io ho usato l’apposita macchinetta sfogliatrice,
ho tirato la pasta stringendo a poco a poco fino alla penultima tacca della
rondella.
A
questo punto potete usare l’apposito stampo per ravioli, che io non ho e non
saprei usare perché in famiglia si facevano rigorosamente a mano, sicuramente
sveltirebbe l’operazione e ha il vantaggio di avere dei ravioli tutti uguali,
fate come volete. Io vi indico come farli senza.
Con
l’aiuto di due cucchiai o una sac à poche fate tanti mucchietti di ripieno,
grossi poco più di una nocciola, in fila
sul bordo del lato lungo delle sfoglie, a una distanza di circa un dito
l’uno dall’altro. Ripiegate la pasta sopra il ripieno, sigillate i ravioli
iniziando dal centro, premendo con le dita delicatamente tra un mucchietto e
l’altro, in modo che esca bene l’aria. Sigillate anche il bordo orizzontale.
Tagliate prima la striscia di ravioli con la rotella e poi pian piano i singoli
ravioli. I ravioli devono essere più o meno tutti uguali, quadrati di circa 3cm
di lato, e con poca pasta intorno.
A me, sta volta, son
venuti un po’ troppo grossi, anche perché avevo anch’io il mio
“tirocinante-impaziente-che-mi-fa-perdere-tempo-ma-che-adoro-avere-attorno”. La
storia si ripete. Peccato solo di non aver avuto la stufa a legna per cuocere
la merenda raviolo.
Disponeteli
(senza mangiarli crudi, almeno non troppo) su dei vassoi di carta infarinati e
fateli asciugare. Potete mettere i vassoi nel freezer, una volta congelati
riuniteli tutti in un sacchetto di plastica per alimenti. Si conservano per un
paio di mesi.
Lessate
i ravioli per circa tre minuti in abbondante acqua salata, scolateli
delicatamente e conditeli col sugo della carne. Serviteli con abbondante
parmigiano.
TOCCO DI CARNE.
Ingredienti:
600g
polpa di manzo un po’ marezzata di grasso e tessuto connettivo (matamà),
100g
di salsiccia in un solo pezzo (aggiunta mia personale),
1
carota piccola,
1
gambo di sedano,
1
cipolla,
400g
passata di pomodoro densa,
1
foglia di alloro,
1
rametto di salvia,
2
rametti di maggiorana fresca,
1
manciata di foglie di prezzemolo,
200
ml di vino bianco secco,
olio
e.v.o,
sale,
noce moscata.
Tritate
finemente sedano, carota, cipolla, prezzemolo e maggiorana, fateli rosolare a fuoco
dolcissimo con 3 cucchiai di olio in una pentola stretta e profonda che
contenga la carne quasi di misura e con fondo molto spesso (va bene una pentola
di ghisa o coccio o acciaio molto spesso), bagnate con due cucchiai d’acqua in
modo che le verdure si stufino senza bruciare.
Unite
la carne e la salsiccia, fate rosolare per qualche minuto da tutti i lati,
bagnate con il vino e fate evaporare l’alcool per qualche minuto a fuoco
vivace.
Unite
la salsa di pomodoro e la salvia e l’alloro, appena la salsa inizia a
sobbollire abbassate la fiamma al minimo e fate cuocere semicoperto per circa 3
ore. È meglio usare uno spargi-fiamma perché il fuoco deve essere molto
delicato, la salsa deve appena fremere.
Se
si asciuga troppo unite poca acqua o meglio del brodo di verdure.
Quasi
a fine cottura aggiustate di sale e noce moscata a gusto.
La
carne cotta in questo modo diventa morbidissima che si può tagliare con il
cucchiaio di legno, il sugo si deve addensare molto.
La
carne potete sfilacciarla, rimetterla nel sugo e condire i ravioli o mangiarla
a parte come secondo.
Se vi avanza del ripieno
potete aggiungere un paio di uova e fare una frittatina, racchiuderlo nella
pasta sfoglia o phillo come uno strudel salato, farcire delle fettine di carne
e cuocerle nella salsa di pomodoro …
Comunque
sia, benvenuti nella Terra di Mezzo.
Note:
· La ricetta che ha dato il via alla sfida è QUI
· Se volete la ricetta del ragù alla bolognese, di quello alla napoletana, alla
toscana, la vera storia della carne alla genovese, se volete una panoramica
completa sulla pasta ripiena di tutto il paese andate nel blog dell’MTChallenge e cercate tra i post
del mese di novembre-dicembre. C’è anche una infografica creata appositamente
da Daniela.
Se
infine volete vedere chi sono gli sfidanti e cosa hanno proposto andate nella pagina dedicata
Leggendo il tuo post mi è venuto da sorridere perchè io sono spezzina e Spezia è la sorrelastra povera della Liguria.
RispondiEliminaSi parla delle 5 terre, Lerici, Portovenere ma Spezia niet!
Noi spezzini siamo un po come voi savonesi e mi è piaciuto tantissimo il tuo post come i tuoi ravioli!
Un abbraccio da un'altra hobbit ;)
Che bel post mia cara, traspare tutto l'amore per la tua terra. Anche per la mia amata Sardegna è lo stesso, per i più è tutta racchiusa tra la costa smeralda, i nuraghi ed Alghero, al massimo è conosciuta per la barbagia tristemente famosa, il resto non esiste, ma in realtà offre molto più di questo.
RispondiEliminaA prescindere dalla giuria tu meriti di vincere per il tuo straordinario racconto oltre che per la bontà di questi ravioli.
Buona giornata.
Marina
Manu, come sempre e' un piacere leggere i tuoi post.
RispondiEliminaNon solo scrivi molto bene, ma ti ho vista all'opera e sei anche una che in cucina ci acchiappa davvero.
Chapeau.
E grazie per lo spicchio di Liguria che ci hai offerto: da esule, apprezzo.
Ci vediamo a Frabosa appena torno: un abbraccio e ancora BRAVA!
La provincia di Savona è viva e lotta insieme a noi :D
RispondiEliminaMitica!
Buoni buoni questi ravioli.. prima o poi proverò anche io il tocco!
Hai fatto davvero una bella descrizione delle tipicità della tua zona e mi sembra giusto.
RispondiEliminaAnche perché, pure nei piatti che prepariamo torna sempre tutto il nostro modo di essere e la reltà nella quale siamo nati.
Fabio
La tua zia mi ricorda un pò la mia mamma...la ricetta e bellissima e certo che poi ogni angolo del paese ha le sue tipicità che fai bene a far rispettare,bravissima!!
RispondiEliminaMi piace il tuo orgoglio ponentino in particolare savonese e mi piacciono i tuoi ravioli che ti accompagnano per le feste "comandate" da quando eri piccola con tutti i ricordi del cuore.....insomma oltre ad aver voglia di assaggiarli mi viene voglia di visitare Savona!!vcomplimenti
RispondiEliminaanch'io non sono genovese, ma tigullina, però nei ravioli non ci vanno le erbette, forse ti sbagli con i pansoti, ma solo boraggine e scarola e nel tocco poco poco pomodoro e tanti tanti funghi...
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