Oggi
è la Giornata Nazionale della Farinata,
secondo il Calendario del Cibo Italiano di AIFB e io ne approfitto per
parlare di un piatto che è uno dei simboli della mia regione, insieme al pesto
e alla focaccia. La si trova in tutta la Liguria, è merenda, street food,
aperitivo, cena.
Ci
sono un po’ ovunque feste e sagre in cui
la farinata è la regina indiscussa.
Il
termine farinata può voler dire diverse cose per a seconda delle zone d’Italia,
per esempio può significare una minestra di farina con aggiunta di legumi o
ortaggi vari oppure una specie di polenta arricchita con pancetta o cavolo
nero, insomma può essere una generica preparazione a base di qualche farinaceo.
Ma
per noi liguri la farinata è una sola, inconfondibile e irrinunciabile.
Cioè
quella sottile crespellona di acqua e farina di ceci, cotta in un grosso tegame
di rame nel forno a legna, morbida ma croccante allo stesso tempo.
A
seconda delle zone può essere semplice o aromatizzata con rosmarino.
Pare
che sia nata sulle galee genovesi durante gli scontri fra Pisa e Genova, quando
durante una tempesta alcuni sacchi di ceci si inzupparono di acqua, per non
buttare via alimenti preziosi vennero cotti, conditi con olio d’oliva e serviti
ai marinai. Alcuni non apprezzarono questa purea salata e la lasciarono al
sole. Col calore del sole diventò una specie di frittella che i marinai, anche
per i morsi della fame, trovarono molto più buona. Una volta rientrati a Genova
perfezionarono la ricetta in quella che ancora oggi è amata da tutti.
È
conosciuta anche nelle regioni a noi confinanti con altri nomi: in Toscana si
chiama “cecina”, nel basso Piemonte “bellecauda”, in Costa Azzurra “socca”.
Tutte zone che hanno sempre avuto scambi commerciali con la Liguria, quindi per
noi la farinata è una nostra creazione esportata poi oltre i confini regionali.
Infatti
la si trova anche presso le comunità italiane in Sudamerica, Uruguay e
Argentina in testa, proprio col nome ligure “fainà”.
Mi
dispiace se così attirerò le proteste e le rivendicazioni dei vicini di casa,
ognuno è libero di pensarla come vuole, ma per un ligure DOC, la farinata è
roba nostra.
Nell’
impeto dell’orgoglio ligure voglio anche riprendere il discorso iniziato con i
“ravieu cou tüccü”, cioè riportare
un po’ alla ribalta tutte quelle ricette della provincia di Savona (la Terra di
Mezzo) sorelle o cugine di quelle del resto della regione, simili ma anche
molto diverse che però fanno sempre parte della tradizione ligure. Tutti piatti
che patiscono un po’ l’ingombrante presenza della cucina genovese, molto più
nota, tanto da essere identificata come la cucina ligure per eccellenza.
Se
in parte è vero, devo dire però che tutte queste differenze più o meno sottili
valgono la pena di essere portate alla ribalta.
Ecco
perché per me, savonese, farinata è ancora qualcosa di altro.
Tipica
della provincia di Savona è la “farinata
bianca” che è fatta allo stesso modo ma con farina di grano al posto di
quella di ceci. Oppure viene aggiunta una piccola percentuale di farina di ceci
(dal 10% fino a 1/3 del totale della farina), in questo caso si ottiene quello
che i meno giovani ricordano come “Ü
Türtellassü”, anche se ormai viene indicata tutta semplicemente come
farinata bianca.
Anche
in questo caso la leggenda la fa risalire a ragioni di necessità e ristrettezze
dove l’ingegno corre in aiuto alla fame: pare che durante un blocco dei
commerci da Genova, fosse più difficile reperire la farina di ceci e che quindi
i Savonesi per cuocere la farinata la mischiassero con quella bianca, dando
origine a quella bianca
Nei
forni di Savona si possono trovare tutte le versioni; adesso vengono anche
arricchite con olive, erbe aromatiche, bianchetti, salsiccia o quello che la
fantasia suggerisce, un po’ come le pizze, ma la farinata originale, bianca o
gialla che sia è in purezza, bella unta d’olio, al massimo con qualche
fogliolina di rosmarino.
L’ideale
sarebbe avere il “testo da farinata”. Un tegame rotondo di rame stagnato,
spesso e pesante, con i bordi bassi e arrotondati. Questo tegame si trova
facilmente nei negozi di casalinghi di tutta la Liguria. Serve anche per
cuocere la focaccia di Recco.
Di
solito ha un diametro molto ampio, anche di 1 metro, perché viene utilizzato
nei forni a legna, ma si trovano anche misure più piccole, adatte al forno di
casa.
Questo
tegame non deve mai essere lavato. Lo si pulisce bene dai residui di farinata
con un pezzo di carta da cucina umido e poi si spennella con un po’ d’olio
d’oliva, infine si ripone avvolto in strofinacci puliti. Ogni tanto va fatto
“stagnare”, cioè viene ripristinato il sottile strato di stagno che ricopre il
rame.
Una
volta questi “stagnini” erano molto diffusi, specialmente nei paesini
dell’entroterra. Ora questo mestiere sta lentamente scomparendo.
La
cottura ottimale la si ottiene nei forni a legna, che raggiungono temperature
elevate, di oltre 300°C. in questo modo la pastella subisce un vero e proprio
shock termico che la fa rapprendere immediatamente in superficie, formando una
bella crosticina asciutta e croccante, ma rimane morbida all’interno. Può
essere più o meno morbida anche a seconda dello spessore, ovviamente se la
pastella è in uno strato sottile la farinata sarà molto croccante. Li va un po’
a gusti.
Io
ovviamente non ho né il forno a legna, né il testo di rame stagnato. In teoria
ce l’ho ma nella casa in Liguria e per
giunta necessita di manutenzione. Quindi ho ripiegato su una normale teglia da
pizza, antiaderente ma col fondo piuttosto spesso e ho cotto la farinata nel
forno normale della cucina.
Non
è venuta perfetta, ma dopo qualche tentativo mal riuscito il risultato è stato
soddisfacente.
Le
proporzioni di acqua e farina variano leggermente, ognuno dichiara di avere la
ricetta originale, ma più o meno sono queste.
Io ho interpellato validi
informatori al riguardo: mio padre per quella di ceci e mio suocero per quella
bianca di Savona.
Mio
papà è uno degli addetti alla farinata durante al Sagra del Vino Lumassina, che si svolge ogni primo week end di
Agosto a Feglino (SV), si sa che vino bianca e farinata sono una perfetta
accoppiata e in una sera se ne cuociono anche una quarantina di testi belli
grandi, tutti innaffiati generosamente dal vinello locale. Considerando che
oltre a questo ci sono anche tanti altri piatti tipici da gustare, la prossima
estate sapete dove programmare le ferie.
Ringrazio Sara Bonaccorsi , l'ambasciatrice della Giornata della Farinata per AIFB per il suo bellissimo post e per averci insegnato un'altra versione gustosa della farinata.
Farinata di ceci:
Ingredienti
per due tegami di rame o da pizza di circa 32cm di diametro:
250-300g
di farina di ceci,
1
litro di acqua fredda,
1
cucchiaino di sale fino,
olio
extra vergine di oliva.
Farinata bianca di Savona.
Ingredienti:
300g
farina bianca,
1
litro di acqua fredda,
1
cucchiaino di sale fino,
olio
d’oliva,
pepe.
Ü türtellassü:
Ingredienti:
200g
di farina bianca,
100g
di farina di ceci,
1
litro di acqua fredda,
un
cucchiaino di sale fino,
4-5
cucchiai di olio extra vergine d’oliva,
pepe,
rosmarino
facoltativo.
Si
preparano tutte allo stesso modo.
Mescolate
la farina con il sale, stemperate con l’acqua fredda versandola pian piano e
mescolando con una frusta per non far grumi. Mescolate bene e fate riposare la
pastella minimo 2 ore in un luogo fresco.
Si
può aumentare di molto il tempo di riposo a patto che la temperatura non sia troppo
elevata altrimenti tende a fermentare. Questo vale di più per la farinata di
sola farina di ceci ma anche per quella
bianca occorre fare attenzione. Per esempio d’estate, quando fa molto
caldo, basta un riposo più breve oppure conviene lasciare la pastella in frigo
o in una cantina fresca (ben coperta).
Ogni
tanto conviene dare una mescolata alla pastella in modo da far sciogliere bene
tutta la farina che tende a depositarsi sul fondo. Qualcuno consiglia anche di
eliminare la schiumetta che si forma in superficie.
A
questo punto dovete accendere il forno al massimo della potenza. Se supera i
200°C meglio, l’ideale sarebbe che arrivasse almeno a 250°.
Quando
il forno è in temperatura versate l’olio d’oliva nella teglia e ungetela bene,
deve esserci un sottile strato d’olio su tutta la superficie bordi compresi,
versate delicatamente la pastella, mescolatela leggermente all’olio.
Se
volete potete distribuire sulla pastella delle foglioline fresche di rosmarino,
ma solitamente la farinata bianca è “nuda”.
Infornate
e cuocete la farinata per circa 30-35 minuti. Quando la pastella inizia a
rapprendersi accendete anche la ventola in modo che il calore sia uniforme.
Deve
essere leggermente dorata, quella di grano non si colora in cottura come
quella di ceci che diventa bella gialla, tuttavia se la volete asciutta e
croccante accendete il grill gli ultimi 3-4 minuti di cottura.
U turtellassu |
a fainà de cexi |
La farinata è una golosità alla quale non so resistere: ne vado pazza! Non conoscevo la versione bianca, però, ed ora che me l'hai fatta scoprire non vedo l'ora di provarla.
RispondiEliminaUn abbraccio
Savona pride!
RispondiEliminaL'adoro follemente! Dalle mie parti si chiama "cecina" ed è mangiata dentro la focaccia toscana..non ti dico che goduria :-P
RispondiEliminaChe bel post, Manu!!!!
RispondiEliminaE che golose le tue farinate, sia quella bianca (che sto conoscendo in questi giorni grazie alla Giornata Nazionale), sia quella di ceci, notissima e che mi piace da matti.
E poi ho particolarmente apprezzato quel "Mi dispiace se così attirerò le proteste e le rivendicazioni dei vicini di casa, ognuno è libero di pensarla come vuole, ma per un ligure DOC, la farinata è roba nostra": un po' di sano campanilismo non guasta mai. ;-)
Un abbraccio!
Verissimo cugina. Qua in Sudamerica la si trova proprio con il nome in dialetto, ovvero "Fainá". Come sempre, uno spasso leggerti. Grande Manu, bellissimo il tuo blog!
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