sabato 26 luglio 2014

FOTOGRAFIA: AMORE E ODIO.




Confesso. Faccio outing. Adesso si dice così. Non sono capace a fare le fotografie. Per il blog ovviamente. È la parte più pesante di tutta la faccenda. Più che sgrassare il piano cottura. Fosse per me non le farei nemmeno. La cosa importante deve essere la ricetta, che deve funzionare davvero. Perché tutto questo sbattimento per le foto?
Ok, ok: fa tanto “la volpe e l’uva”.
 

Quando ho iniziato questa avventura non mi importava tanto delle foto. Non erano la mia priorità. Il mio obbiettivo.
Io ho aperto il blog per le mie ricette, per parlare di cucina e di libri, di quello che mi piace, che mi riesce bene o meno bene. Di quello che mi invento per stupire amici e parenti o solo per risolvere la cena velocemente.
Quindi ricette reali, fatte nei tempi reali del pranzo e della cena. Insomma , non cucino per il blog, piuttosto il blog entra in cucina ma senza dar fastidio. Convinta! E allora?
Allora le foto bisogna farle. Non c’è storia. Chi legge una ricetta vuole anche vedere come viene il piatto. Lo sanno tutti che i libri di cucina con molte foto attirano di più.
Tanto più se si vuole partecipare a qualche concorso. I famigerati contest.
Dove l’occhio pretende la sua parte eccome.
E che ci vuole? Un paio di foto prima di sedersi a tavola. Se si riesce anche alla preparazione. Bon finito li.
 

Ma quando mai!
Si entra in un vortice senza uscita. Le foto non bastano mai. Si scatta all’impazzata, sperando nel miracolo. Poi ci si arrovella per impiattare in maniera carina. Per mettere la tovaglietta giusta, la posatina, il bicchiere. Ma ancora non basta perché bisognerebbe anche avere la luce giusta.  Quella naturale, di giorno, ma non aggressiva per non creare ombre.
In casa mia dovrei scattare foto tra le 10 e le 11 del mattino, se non c’è il sole. Se c’è, devo rimandare alle quattro del pomeriggio.  Circa.

 
Ok, se si tratta di un dolce, un pane, dei pasticcini o salatini. Ma il resto no!
Posso preparare la polenta con la fonduta alle quattro del pomeriggio? O le cozze ripiene?
Anche perché le ricette migliori, quelle buone e  gustose, quelle da porca figura, magari anche impiattate in maniera figa, di solito le faccio quando ho qualcuno a cena o a pranzo.
Come faccio ad aspettare la luce giusta? Come faccio a far aspettare gli ospiti mentre io allestisco freneticamente il set fotografico?
Quindi scatto due foto al volo e amen. Due. Poi incredibilmente sono almeno 20. Così perdo un infinità di tempo per scegliere quella più decente.

 
Però rosico. Perché vedo blog con foto stupende. Colori incredibili e set fotografici da rivista patinata.  Luci meravigliose. Un altro pianeta.
Mio marito dice che va bene così. Che ognuno deve avere il suo stile. La sua personalità. Forse ha ragione lui. Devo continuare a dare priorità alle mie ricette.

 
Quando non si tratta del blog invece è diverso. Quando sono in giro fotografo sempre. Di tutto. Paesaggi. Amici. Parenti. Animali. Piante. Qualsiasi cosa mi ispiri. Click.
E mi vengono anche piuttosto bene. Nonostante la macchinetta che più elementare non si può.
Quella che ci mette una vita a scattare e nel frattempo la cosa che merita di essere immortalata è già andata. Quella “semplice semplice” ma che se cerchi di impostare qualche funzione, tipo “crepuscolo”, devi schiacciare convulsamente i due pulsantini, gli unici due ben inteso, sperando che capisca l’alfabeto MORSE.
Però mi diverto. Poi son sempre bei ricordi.

 
A pensarci bene son sempre io che fotografo. Così nelle foto delle ferie non ci sono quasi mai.
Ogni tanto, quando mio marito mi strappa di mano la macchinetta.
Solo che non mi piaccio mai nelle foto.
Anche perché lui ha il dono di riprendermi sempre nei momenti peggiori. Al mare, mentre mi sto sistemando le mutande del costume (e non è fine), oppure mentre sono in una posizione rilassata, tipo Buddha, con sette pance. O quando sto uscendo dall’acqua, con grande “eleganza e atleticità”, tento di riemergere dai flutti barcollando sulle pietre taglienti del fondale … ma sempre dove sono io tutte ste pietre? Perché la tizia che è uscita prima di me e nello stesso punto, camminava lieve e spedita? Perché lei sembrava la Venere del Botticelli e io la nonna della stessa?

 
A volte mi impegno, mi metto ben bene in posa: pancia in dentro e chiappe strette, ma spalle rilassate. Leggermente di ¾. Con il mento appena sollevato per eliminare la pappagorgia. E braccia un pochino indietro per non far vedere i tricipiti sblusati. E sorridere anche!
Ma quanto si può resistere in questa posizione? Non tanto.
Lui intanto armeggia con la macchina, inquadra, zooma, si sposta, si accuccia, si rialza. Beh si, ne fa un po’. Così. Per sicurezza.
Nossignori. Una ne fa, massimo due. E sempre mentre deflagro in un sospiro liberatorio e di stizza. Stavo diventando blu!
Lui si giustifica dicendo che col sole non vede lo schermo della macchina. Vero. Ma allora perché tutte ste storie se tanto non vedi quello che fai? Scatta e basta. Che sto morendo.
Guarda me non lo schermo. Inquadrami, appena sei certo che mi hai presa tutta, scatta.
Ma guarda me. Guarda come sono messa. Se mi sta passando davanti l’omino del cocco. Se mentre armeggi mi investe il bagnino col pattino, magari non scattare.
 

Ricordo una foto memorabile, al mare in Sicilia. Capo d’Orlando. Al tramonto. Luce meravigliosa. Spiaggia quasi deserta e incantevole. Con un po’ di abbronzatura. Mi metto in posizione tattica. Tutto perfetto. Click, click.
Poi via di corsa a prepararci per la cena. In albergo guardiamo le foto. Belle. Sembravo persino magra. Un gran pezzo di gnocca. Peccato che in tutte le foto (3 per carità!) avessi il palo dell’ombrellone di sbieco davanti alla faccia!
 

“Eh ma il sole, così di taglio, la luce, non ho visto!”

 
Ok, le foto le faccio io!

 
 






INVOLTINI AI POMODORI SECCHI E PROVOLA.

Ingredienti per 4 persone:
8 fettine di vitello sottili,
16 pomodorini secchi sott’olio,
8 fettine di provola,
origano,
vino bianco secco,
olio extra vergine d’oliva,
sale e pepe.


Incidete le fettine sul bordo. Sgocciolate i pomodori secchi e sciacquateli bene.
Distribuite i pomodori secchi e il formaggio su ogni fettina, cospargete con origano e chiudete a involtino: ripiegate leggermente i bordi lunghi all’interno perché il ripieno non fuoriesca, poi arrotolateli bene. Fermate con uno stecchino o legate con un po’ di spago.

Rosolate in una padella con un due cucchiai di olio, bagnate con un bicchierino di vino bianco, abbassate il fuoco e cuocete semicoperto per circa 8-10 minuti. Spegnete.
Fate riposare coperto 2 minuti prima di servire.
 
 
 

 

Varianti:


a-    pomodorini datterini freschi, mozzarella a dadini ben asciugata, foglia di basilico.
b-   fetta di melanzana grigliata, scamorza fresca (o feta) e fogliolina di menta (o salvia).
c-    zucchine grigliate, maggiorana e pecorino fresco.
d-   foglie di ortica o borragine, sbollentate e strizzate, menta fresca e Raschera d’alpeggio.
e-    funghi, saltati in padella con aglio e timo fresco, e mozzarella di bufala.

Il procedimento e la cottura è lo stesso.

martedì 15 luglio 2014

PROFUMI DI LIGURIA

Oggi vado subito di ricetta. È piuttosto lunga da scrivere. Sembra laboriosa ma in realtà il procedimento è semplice. Ci sono però un po’ di passaggi e richiede un po’ di tempo.
Ma il sapore ripaga della fatica.
C’è tutta la mia regione dentro. Pesto. Patate e fagiolini. Baccalà. Pasta fresca.
Un concentrato di Liguria.
È una ricetta classica: pasta al pesto con patate e fagiolini.
Rivisitata come lasagna. Anche questo ormai un classico.
Ma con l’aggiunta del baccalà. Questa idea l’ho copiata dal cuoco del ristorante dei Bagni La Playa di Savona.
Ma la besciamella è una mia variante “alleggerita”.
Inoltre lo chef prepara la sfoglia nella maniera classica, con tante uova rendendola ruvida con l’aggiunta di poca farina di grano saraceno.
Anche qui ho voluto dire la mia. Sapete come sono fatta.
Così ho eliminato il grano saraceno per un sapore meno deciso ma sempre rustico: la farina integrale. Ho ridotto drasticamente le uova. Uno soltanto. Ho impastato col vino bianco, alla ligure e colorato la pasta di verde con il basilico.
Spero vi piaccia. Soprattutto spero piaccia allo chef.

 


 
 
 

LASAGNE AL PESTO CON PATATE, FAGIOLINI E BACCALÀ.

Ingredienti per 6-8 persone:

300g baccalà dissalato.
400g patate sbucciate,
300g fagiolini.

Per la besciamella (a modo mio):
600ml latte parzialmente scremato,
1 cucchiaio di fecola,
1 cucchiaio di farina 00,
sale e noce moscata.

Per la pasta al basilico:
200g farina 00,
100g farina integrale,
100g semola fine,
1 uovo,
½ bicchiere di vino bianco,
15g basilico fresco più qualche foglia di prezzemolo (20g in tutto),
sale fino,
acqua q,b.

Per il pesto:
2 mazzi grandi di  basilico fresco,
2-3 spicchi d’aglio spellati,
2 cucchiai di pinoli,
4-5 cucchiai di parmigiano reggiano grattugiato *,
olio extravergine d’oliva,
sale grosso.

(* ci vorrebbe pari quantità di parmigiano e pecorino ma , data la presenza del pesce ho preferito non usare il pecorino per avere un pesto più delicato.)

Innanzi tutto  bisogna preparare la besciamella. Io non ho usato il burro e quindi non ho fatto il roux d’ordinanza. Qualcuno storcerà il naso. Ma questa è una ricetta collaudata di famiglia e vi assicuro che il risultato è lo stesso, solo risulta più delicata ed essendoci il pesto con l’olio e il pesce non si sovraccaricano i sapori. Provate poi mi dite.
Si scalda il latte in un pentolino, senza farlo bollire. In una pentola a fondo spesso si stempera la farina, la fecola, un pizzico di sale e noce moscata, con poco latte caldo. Si deve avere una cremina omogenea  senza grumi. Si inizia a scaldare la cremina unendo a poco a poco tutto il latte caldo. Si cuoce a fuoco dolce mescolando finchè vela il cucchiaio.
Non fatela rassodare troppo. Questa besciamella deve essere fluida.

Nel frattempo lessate per pochi minuti il baccalà in abbondante acqua NON salata. Lessare anche i fagiolini e le patate, tagliate a rondelle sottili, scolandole al dente. Io ho usato una pastaiola, una di quelle pentole col colapasta incorporato, così non ho mai buttato l’acqua che è sempre rimasta bollente e pronta per lessare tutto. Un bel risparmio di tempo e gas. Inoltre le patate si insaporiscono. Naturalmente prima ho cotto il baccalà senza sale, poi ho aggiustato di sale e ho cotto i fagiolini e le patate.
Fate intiepidire tutto. Spellate e diliscate il pesce riducendolo a pezzetti. Tagliate a pezzetti anche i fagiolini.

Preparate il pesto: pulite il basilico e sciacquatelo bene. Tamponatelo con un telo pulito.
Frullatelo o pestatelo nel mortaio con un cucchiaino di sale grosso, i pinoli e l’aglio spellato e schiacciato. Unite a filo l’olio d’oliva e il formaggio grattugiato.
L’olio deve bastare a creare una crema omogenea ma non troppo fluida.
Unite un paio di cucchiai di pesto alla besciamella.

Preparate la pasta: lavate e sgocciolate le foglie di basilico e prezzemolo, frullatele unendo due cucchiai di vino e acqua tiepida. Devono diventare un liquido verde.
Impastate le farine con l’uovo, un pizzico di sale, il basilico frullato, il vino rimasto e acqua tiepida quanto basta per ottenere un impasto omogeneo e morbido.



Stendete la pasta sottile con l’apposita macchina o col mattarello e ritagliate delle sfoglie di circa 12x15cm, più o meno. Dipende da come avete la teglia. La mia è circa 22x 30, in questo modo con quattro sfoglie ho fatto uno strato.
 
 
 

Lessate le sfoglie in abbondante acqua salata con un cucchiaio d’olio d’oliva.
Sgocciolatele e stendetele man mano in un vassoio. Usatele subito.


 
Stendete un velo di besciamella nella teglia antiaderente, disponete uno strato di pasta, coprite con la besciamella, i fagiolini, le fettine di patate e il baccalà. Condite con qualche cucchiaino di pesto e proseguite con altra pasta.




Se la besciamella si fosse asciugata troppo diluitela con qualche cucchiaio di acqua di cottura della pasta. Stessa cosa per il pesto, che se è un po’ più fluido si stende meglio ma è meglio non aggiungere troppo olio.
Continuate con gli ingredienti formando quattro strati di pasta, terminate con besciamella, patate, fagiolini e baccalà. Completate il pesto.
Infornate a 200°, forno già caldo per circa 15-20 minuti. Se la superficie secca troppo coprite con un foglio di alluminio.



Fate leggermente intiepidire prima di servire. È da ustione! Inoltre si compatta meglio e non si allarga per il piatto. Come è successo a me che ho avuto fretta.

 

 

Con questa ricetta partecipo al Contest "La Cucina Italiana nel Mondo verso l'Expo 2015",  organizzato dalle “Bloggalline”.
 

 

Ebbene si. Ho l’onore di far parte di questo bellissimo gruppo!

 
Variante con la burrata:
Con questa dose però avanza della pasta. Non volevo diminuire le dosi anche perché sono già perfette per un uovo. Si possono fare tagliolini o maltagliati e condirli sempre allo stesso modo. Senza la besciamella ovviamente. Ma mi è venuta un’idea diversa.
Così ho preparato un’altra piccola teglia di pasta al forno. Naturalmente ho fatto nuovamente besciamella, pesto e lessato altre patate e fagiolini.
Non avevo più baccalà e ho usato della burrata fresca. Che ci sta benissimo.



 
 
 
 
 
 

venerdì 11 luglio 2014

UNA LETTURA ESTIVA

Estate. Almeno così pare. Secondo il calendario siamo a Luglio, ma guardando fuori dalla finestra sembra fine Settembre.

L’Estate dovrebbe far pensare subito alle vacanze al mare, ozio e tintarella sotto all’ombrellone a leggere un libro.
Oppure a un bel prato in montagna, un plaid steso sull’erba all’ombra di un grande albero, ovviamente con un buon libro in mano.
Invece fa un freddo Caino, piove pure un po’ e bisogna stare in casa. Ma il libro rimane.
Di solito si tratta di letture poco impegnative, che non richiedono un grande sforzo di concentrazione. Anche il cervello ha diritto alle sue pause.
Libri che volano via in poco tempo.
Per me significa soprattutto romanzi gialli.
Veramente io leggo di tutto, per cui vanno bene anche romanzi d’avventura, meglio ancora diari di viaggio. O un bel romanzetto d’amore romantico o passione ardente.
Ma in questo momento sono nel periodo delle detective story.

Allora vai con la mia amata Agatha Cristie, Virgina Wolf, Sir Arthur Conan Doyle o per rimanere tra i contemporanei P.D.James.
Ah questi inglesi! Sono così rassicuranti!
Anche se durante la lettura ci si perde un dettaglio, un particolare della vicenda, tanto poi si sa che alla fine ci aspetta la soluzione certa del caso con tanto di ricostruzione ovvia e precisa.
Mica come gli autori americani, che se ti distrai un attimo perché è passato il venditore di cocco, perdi il filo. Perché nel frattempo fanno morire sette o otto persone, il sospettato numero uno non è più sospettato, magari è diventato vittima e il detective si è portato a letto metà dei personaggi femminili del libro, anche qualche maschio, per la par condicio.
Questo non vuol dire che i libri inglesi siano più noiosi, tutt’altro, sono solo un filino più logici.
E in tempo di incertezze qualche punto fermo ci vuole.

Ho appena finito di leggere un romanzo di P.D.James.
L’ennesimo. Uno dei tanti che l’autrice ha scritto e che ho prontamente acquistato. Li ho quasi tutti, infatti.

Questo si intitola “La paziente privata”.
La storia è ambientata in un vecchio castello vittoriano ( sembra che si possa morire solo li!) nel Dorset, ristrutturato per ospitare una clinica estetica esclusiva. Durante la degenza post operatoria viene misteriosamente uccisa una paziente, una giornalista d’assalto con qualche oscuro segreto nel suo passato. Ad indagare sui possibili sospettati, tutti gli abitanti del castello, arriva da Londra il detective Adam Dalgliesh, comandante della squadra omicidi di Scotland Yard, con i suoi fidi collaboratori.

Il libro procede spedito, tra salti nel passato dei protagonisti, introspezioni, qualche colpo di scena (ma non agitiamoci troppo) e interminabili quanto dettagliate descrizioni degli ambienti.
Perché la signora James è cintura nera di descrizioni di ambienti, lei non si limita a dire come è fatta una stanza, lei ne descrive ogni singolo particolare, mobili, tende, tappeti e suppellettili. Anche dove sono stati acquistati, magari.
Alla fine sembra quasi di esserci per davvero.

La cosa è interessante, se non fosse che dopo 10 pagine di spiegazione dettagliatissima della biblioteca uno magari decide che ne ha abbastanza e va a farsi un panino.
Soprattutto se la vittima ci mette 70 pagine a morire. Sei la predestinata, lo so che sei tu perché ho letto il retro copertina, che diamine: falla finita e muori.
Così poi iniziano le indagini.

Che poi anche i detective in questione non è che siano tanto sbrigativi, qualche pensierino filosofico lo esternano sempre. Di solito davanti alla tazza di te di ordinanza.
C’è sempre il momento della tazza di te, dello spuntino, del pasto a ore improponibili per noi italiani. Ovviamente sempre ben raccontato.
Una vasta scelta di piatti tipici inglesi.
Dal roast beef con yorkshire pudding, al pasticcio di agnello in crosta, dai muffins al pane d’orzo, poi torte e confetture di ogni genere. Deve essere una buongustaia questa donna.

In questo romanzo c’è una animata discussione tra i cuochi e la direttrice della clinica su cosa sia meglio servire agli abitanti della casa dopo il terribile colpo del ritrovamento del cadavere.
Perché lo shock passa meglio con qualcosa di caldo nello stomaco, questo si sa.
Alla fine si decide per una serie di piatti freddi, salati e dolci, accompagnati dal pane di soda, saporito, versatile e veloce da preparare.

Io ovviamente mi sono data  da fare per saperne di più, ho fatto le mie indagini parallele e ho trovato la ricetta.
Poco sforzo, in verità, perché ho un libro sul pane di tutto il mondo che è favoloso: “Il pane fatto in casa” (di C.Ingram e J.Shapter)  dove c’è anche la ricetta per preparare questo pane.
Di questo libro ne avevo già parlato quando ho preparato il pane gallese nei vasi di argilla.

Questo pane è tipico dell’Irlanda ma lo si può trovare facilmente in tutto il Regno Unito.
Viene fatto principalmente con farina integrale di grano, mischiata a farina bianca ,a volte anche a farina d’avena. Viene impastato col latticello, ossia il siero del latte che resta dopo aver fatto il burro. Si chiama Soda Bread perché l’unico agente lievitante usato è il bicarbonato di sodio che a contatto col latticello produce acido lattico e fa fermentare il pane gonfiandolo. Anche se, soprattutto in Inghilterra, molti fornai aggiungono del cremor tartaro che facilita la lievitazione.

Ho trovato anche molte ricette che comprendono tra gli ingredienti burro o lardo, ma per lo più viene fatto senza grassi aggiunti.
Le proporzioni tra farina integrale e farina bianca variano: con quasi ¾ di farina integrale e ¼ bianca si ottiene il Brown Soda Bread, ovviamente perché rimane più scuro; la farina integrale si può diminuire a vantaggio della farina bianca fino ad avere un pane fatto solo con farina bianca, il White Soda bread, appunto.
L’impasto di solito viene modellato in una pagnotta rotonda tagliata a croce. Se si taglia il pane in quarti, prima o dopo la cottura, si ottengono le Soda Farls, cioè cunei di pane.
Anticamente veniva cotto in su piastre o tegami di ghisa posti sulle braci e coperto con coperchi anch’essi di ghisa, questo perché le cucine Irlandesi non avevano il forno per il pane. Ancora oggi qualche fornaio fa ancora così ma per lo più viene usato il forno.
A volte viene cotto dentro una teglia rettangolare, prende il nome di pagnotta di grano.
Tutte queste informazioni le ho prese curiosando sul web ma in maggior misura le ho trovate nel libro “Io ho aumentato la proporzione della farina integrale e ho omesso il lardo.
 

 
 
 
 
 


IRISH SODA BREAD- PANE IRLANDESE AL BICARBONATO DI SODIO.

Ingredienti:
300g farina integrale,
200g farina bianca,
350g latticello,
2 cucchiaini di bicarbonato di sodio,
1 cucchiaino di sale.

Se non trovate il latticello sostituitelo con il latte fermentato arabo (Laben Chaula) che si trova facilmente nei supermercati o con il Kefir. Oppure potete mescolare yogurt e latte (o acqua) in pari quantità ottenendo il peso desiderato, aggiungete poi qualche goccia di succo di limone e fate riposare mezz’ora circa a temperatura ambiente.

Mescolate tutti gli ingredienti secchi poi aggiungete a poco a poco il latticello fino ad ottenere un impasto omogeneo, morbido e umido.
Non lavoratelo troppo con le mani altrimenti il pane diventa pesante e duro. Modellatelo in una pagnotta rotonda e ponetelo su una placca foderata di carta forno umida.
Fate dei tagli a croce o stella.




Infornate a 190°, forno caldo, per circa 30 minuti. Il pane deve essere gonfio e dorato e deve risuonare vuoto se colpito sul fondo.
Io ho fatto cuocere il pane per i primi 10 minuti a 190°C, poi ho abbassato il forno a 170°C e ho cotto ancora 25-30 minuti.
Se dovesse scurire troppo in fretta copritelo con un foglio di alluminio, abbassate il forno di 10° e terminate la cottura.





Fatelo raffreddare avvolto in un telo pulito e leggermente spruzzato di acqua.
Servitelo tiepido o freddo, affettato, con burro e marmellata come vuole la tradizione anglosassone, magari accompagnato con una tazza di te.

Oppure con una bella scelta di salumi e formaggi e un bicchiere di vino rosso vivace. Per esempio un Lambrusco.
 
 
 



 

Comunque questo libro mi è piaciuto. Come tutti gli altri di questa autrice.
Forse ogni tanto il ritmo delle storie rallenta un po’, magari si intuisce l’assassino ben prima dell’ultima pagina, ma i personaggi e le ambientazioni sono così tipicamente inglesi, così ben caratterizzati che ci si immerge nella storia e si arriva alla fine in un attimo.
Anche perché le trame, i casi da risolvere, sono sempre molto logiche e puntuali, niente assurdi colpi di scena o indizi usciti fuori come per magia a sconvolgere le carte in tavola.
Quindi buona lettura a tutti.
Voi adesso che state leggendo?




In questi giorni mi sto godendo le vacanze estive, anche se il tempo non aiuta.
Per cui mi perdonerete se non sono stata di parola e sono sempre latitante. Ma continuo a cucinare e fotografare. Per adesso vi saluto tutti e vi auguro una buona estate.
A presto.